lunedì 15 febbraio 2010

Io non ridevo




Chissà se sarà veramente giustificato il “finalmente” che mi è venuto alla vista di quegli aquilani che con rabbia hanno scalzato le transenne e si sono riappropriati per un po’ della loro città.
Finalmente, perché fin qui, anche a non fare i soliti fasci di erba indistinta, non s’era visto né sentito dissenso vero né sulla deportazione, né sulla disarticolazione e l’affossamento della città, né sulla riduzione a ruolo di puri contorni scenografici a misura dei veri protagonisti (e delle loro esigenze di onnipotenza) della città e della sua popolazione.
Mi è venuto da pensare, a volte, che il freno a qualsiasi espressione di volontà, fosse determinato non solo dalla “necessità” di accondiscendenza ad un regime che poiché privo di limiti reali, di criteri oggettivi, nella dimensione giustificativa dell’emergenza, era in grado di includere ed escludere a proprio piacimento, ma anche ad una sorta di senso di colpa collettivo in grado di indurre a vergogna.
Il terremoto aquilano, ormai lo sappiamo, ha in gran parte fondato la sua forza devastante su negligenza e superficialità, su incapacità e indolenza, ampiamente diffuse nella nostra regione, in rapporto alla valutazione dei problemi reali e potenziali, alla gestione degli interventi, alla organizzazione e programmazione delle attività.
E’ la caratteristica di tutto ciò che “gira” in questa regione, che sia la pianificazione urbanistica, l’organizzazione del sistema sanitario o le politiche del lavoro: se si guardano le cose non si fa fatica a vedere che ci troviamo sempre (se va bene) dinanzi alla “mediocrità”, ogni cosa ha la sua sbreccatura.
E’ tutto approssimativo: approssimativa la politica e l’amministrazione pubblica, approssimativa la politica dei sindacati, approssimativi i tecnici che dovrebbero gestire i processi operativi.
E’ stato sicuramente per decenni approssimativo il modo in cui si è gestito e si è intervenuto sul territorio aquilano; è stato approssimativo il modo in cui si è valutato il rischio sismico in quel territorio. Molti, troppi, hanno ritenuto di poter volgere lo sguardo altrove e tirare avanti.

Approssimative, invece, non sono state le forze che si sono scatenate dopo il terremoto.
Si fosse considerata adeguatamente con quale tempestività furono approntati e presentati i progetti di new town, sarebbero apparsi immediatamente chiari gli intenti veri di ri/costruzione che animavano coloro che veramente contano in questo Paese. La scelta di saltare tutte le fasi intermedie che normalmente si svolgono dopo catastrofi come quelle del 6 aprile, non era determinata dalla ricerca di un guiness, di un miracolo italiano che, era immediatamente apparso chiaro, non sarebbe potuto esserci. Troppe le risorse necessarie per garantire una c.a.s.a. da 2700 euro a metro quadro per tutti coloro che comunque non sarebbero potuti rientrare nelle proprie case.
No! La scelta derivava dalla consapevolezza di poter sperimentare concretamente a che punto fosse la capacità di controllo di una popolazione e, insieme, a che punto fosse la possibilità di agire e muovere enormi risorse economiche pubbliche senza che potesse essere esercitato alcun controllo.

Ora, “finalmente”, sembra esserci un nucleo di coscienza su cui ricominciare davvero a sperare. Piccolo, ma evidente.
Finalmente appare la rabbia per tutto ciò che in questi 10 mesi non si è fatto. Finalmente emerge la coscienza che anche sulle tragedie si specula. Finalmente sembra esprimersi la voglia di rimettere mani, piedi e cuore dentro la propria città.
Spero, finalmente, che i cittadini aquilani incomincino a rifiutare di affidare ad altri la ri/costruzione della propria vita.
Domenica quelle donne e quegli uomini che hanno superato le transenne hanno incominciato a riprendersi qualcosa. Li ho visti arrampicarsi sopra le montagne di detriti che ancora invadono molte strade e piazze. Li ho visti trattenere con se un sasso, un frammento di città. Io spero che si avvii finalmente la ricostruzione che fin qui non c’è stata.

lunedì 1 febbraio 2010

What Else?

Villa Pini:
oltre 1600 lavoratori senza stipendio da quasi un anno e pressoché invisibili
un imprenditore dichiaratosi corruttore e concusso
e la melina della politica


Non credo abbia senso concentrarsi sul “dietro le quinte”, provare a rintracciare i fili nascosti che legano le scelte di ieri con gli esiti di oggi.
A cosa può servire, a capire ciò che già sappiamo da tempo?
Che attraverso la sanità, attraverso la gestione delle enormi risorse economiche pubbliche e in nome della “salute dei cittadini”, si mette in atto il potere politico ed economico nella nostra regione?

Non è meglio cercare di fare uno sforzo per avviare un cambiamento che dia anche una soluzione a qualcuno dei tanti problemi che questa regione ha.

Si può tentare, per esempio di dare una risposta al bisogno di lavoro di chi da quasi un anno è senza stipendio e con un futuro assolutamente incerto.
Ma si può tentare anche di dare risposta al bisogno di salute insoddisfatto di tanti cittadini abruzzesi. Potrebbe essere possibile avviare servizi, ormai consolidati in molte altre regioni e “inimmaginabili” per l’Abruzzo e incominciare, così, ad agire su quella che sembra essere l’unica e compulsiva richiesta che arriva dal territorio: ospedale, ospedale!

Certo per fare questo bisognerà incominciare una buona volta a fare lo sforzo di capire, di analizzare i bisogni ed individuare gli strumenti adatti alla loro soddisfazione. Sarà anche necessario uscire dai soliti schemi entro i quali si è sempre ragionato. Abbandonare la logica di pensare prima agli “organigrammi” e poi e di conseguenza al cosa fare.
Non è facile, è evidente, ma è un dovere a questo punto.

C’è chi aspetta, per il Gruppo Angelini, un compratore: un bell’imprenditore che con un po’ di denaro da investire si assicuri un buon patrimonio. Va da se che vorrà farlo fruttare e, visti i precedenti, liberarsi magari anche della parte peggiore e più improduttiva dell’azienda, trattenendo per sé solo la parte migliore e più redditizia!
Ma come si guadagna in sanità?
Chiederà soldi alla Regione! Tanti soldi e…per fare cosa?
Farà ospedale e, magari, riabilitazione. What else?

sabato 23 gennaio 2010

Maurizio Acerbo su Villa Pini

"...Le notizie relative a possibili acquirenti confermano che molti interessi ballano intorno al capezzale o presunto tale di Villa Pini.
Scrivo queste cose, non per esercizio dietrologico, ma per elementari considerazioni di natura etica e politica.
La sanità ha condotto l’Abruzzo nel disastro a causa di una pluridecennale assenza di trasparenza e programmazione che ha consentito a sprechi e corruzione di proliferare a spese dei cittadini e dei loro bisogni di salute.
Gli accreditamenti ai privati non sono mai stati il frutto di dati epidemiologici e delle esigenze della popolazione, ma di una “contrattazione” tra politica e signori della sanità privata.
La crisi del gruppo Villa Pini ci poteva mettere nella condizione di tenere finalmente un atteggiamento virtuoso e conforme a una corretta politica sanitaria.
Invece il fatto che la giunta Chiodi non ci abbia mai consentito di discutere in maniera seria e pubblica la gestione della crisi del gruppo Angelini ci consegna un quadro oscuro e confuso dove i “furbetti” possono continuare a muoversi secondo le vecchie logiche di sempre.
Il come riorganizzare il complesso di prestazioni erogate dal gruppo Angelini e la salvaguardia occupazionale dei suoi dipendenti dovrebbe essere una questione da affrontare tenendo presenti soltanto interessi di natura pubblica.
Non sta scritto da nessuna parte che debba permanere l’attuale quadro di accreditamenti privati (con un nuovo titolare) nel momento in cui nelle segrete stanze romane si sta elaborando il piano per la chiusura di non si sa quanti ospedali pubblici abruzzesi.
Chi lo ha detto che la via di uscita è il subentro di un nuovo gruppo della sanità privata?
Se si fosse applicata la norma del 2007 e si fosse praticata la strada del commissariamento delle strutture lo scenario sarebbe oggi meno oscuro e confuso.
Nel mentre ci battiamo per garantire un reddito ai lavoratori del gruppo teniamo sempre presente il complesso della battaglia per il risanamento della sanità regionale"
(Maurizio Acerbo - consigliere regionale Rifondazione Comunista)

Si vabbè Maurì, ma...cioè?

giovedì 7 gennaio 2010

IVG…a Pescara.

Cercando dati dal web sui servizi sanitari in Abruzzo, mi sono imbattuto in una “voce” all’interno di un forum che mi era sembrata incredibile.
La riporto tout court:

“IVG a Pescara

ho appena tel al consultorio e mi hanno detto di telefonare all'ospedale x prendere l'appuntamento.
Qualcuna di voi l'ha fatto a Pescara, non so se mi conviene andare in qualke altro ospedale....” postato da Chery84 in al femminile.com.

Mi era sembrato impossibile: il consultorio è il servizio specificamente deputato ad accogliere e seguire le donne nella drammatica scelta di interrompere una gravidanza.

La struttura ospedaliera esegue l’atto “chirurgico”, può e deve avere una sensibilità particolare rispetto alla particolarità della problematica dell’aborto, ma strutturalmente e funzionalmente non può svolgere una funzione di prevenzione e di follow-up, non ha la possibilità, anche volendo, di offrire sostegno alla donna che è di fronte ad un problema così delicato.

Il post era del maggio 2007 e mi son detto: a distanza di un po’ più di due anni sarà cambiato tutto.

Sul sito della AUSL di Pescara si segnalano 16 consultori distribuiti sul territorio della provincia, 3 nella città di Pescara, con una nutrita presenza di ginecologi, pediatri, medici di base, psicologi, avvocati, infermieri, assistenti sociali e ostetriche; in tutto una sessantina di operatori.

Proviamo!

La mia amica e collega Maria, con cui a volte discuto delle cose che vado scrivendo su questo blog, si è resa disponibile a sondare un paio di quei Consultori. Risultato?

“Deve rivolgersi al servizio ospedaliero…no, non ho il numero a portata di mano, ma lo trova sull’elenco telefonico…non si preoccupi pensano a tutto loro, le faranno anche il controllo dopo l’interruzione”.

E tutto il resto? Il supporto? L’informazione e l’educazione? Tutto quello che serve per evitare che, magari tra qualche tempo la cara Maria-finta-gravida-che vuole-abortire non si ritrovi d’accapo gravida-che-vuole-di-nuovo-abortire? E tutto quello che serve per capire perché una donna vuole abortire? E tutto quello che serve per aiutare a risolvere i problemi che hanno portato una donna ad abortire?

Chi lo fa?

Allora io e Maria siamo andati a cercare qualche dato sull’argomento:

a Pescara nel 2006 solo lo 0,24% dei certificati di interruzione di gravidanza, cioè la documentazione che rende praticabile l’IVG, viene rilascato dai consultori, 2 su 827 aborti, 11 (l’1,33%) dal medico di fiducia della donna, gli altri (813 cioè il 98,31%) sono stati rilasciati dalla struttura ospedaliera. Cioè né prevenzione, né educazione, né supporto.

Poi scorrendo le tavole dei dati troviamo che i casi di aborti ripetuti sono oltre il 30%, buoni 4 punti in più della media nazionale, più o meno il doppio rispetto alle altre province della regione, ma anche tra i disvalori più elevati in confronto a quasi tutto il territorio nazionale, anche quando si confronta con realtà ben più complesse e problematiche.

Viene allora da chiedere: ma cosa fanno i consultori?

Maria-finta-gravida-che-non-vuole-abortire ha deciso di volerci vedere chiaro e penso non sarà inutile approfondire. A presto!

mercoledì 16 dicembre 2009

Assistenza Domiciliare…ovvero il fantasma della sanità abruzzese.

Qualche anno fa, l’Agenzia Sanitaria Regionale ha effettuato un censimento delle risorse disponibili per le cure domiciliari. Il risultato era sorprendente poiché mostrava perfettamente l’inadeguatezza del Sistema regionale.

Se cronicità e disabilità sono terreni fondamentali sul quale porre una attenzione particolare sarà ovviamente indispensabile realizzare investimenti o, comunque, una riallocazione di risorse che possano rendere efficaci gli interventi in questo ambito, non sottovalutando fra le potenzialità di un efficace sistema di cure domiciliari anche in rapporto alla possibilità, attraverso un sistema di dimissioni protette, di incidere sulle degenze ospedaliere.

L’indagine conoscitiva presentata dall’ASR, mostrava un Sistema delle Cure Domiciliari relegato ad un ruolo assolutamente marginale, dal punto di vista quantitativo e qualitativo.

Sia il numero dei pazienti assistiti che le risorse impegnate costituiscono un dato da cui non si può prescindere nel fare una valutazione della situazione, così come non si può non considerare che la parzialità dei dati raccolti non permette di definire quale sia il bisogno di assistenza che emerge sul territorio abruzzese.

I dati, compresi quelli raccolti dall’Osservatorio Epidemiologico Regionale, non chiariscono quale sia, dal punto di vista della qualità, delle caratteristiche, del tipo, la domanda avanzata dai 17.760 casi seguiti nel corso dell’anno 2005, né ciò che rimasto eventualmente inespresso sul territorio (si consideri che la popolazione ultrasessantacinquenne nella regione conta circa 260.000 unità a cui vanno aggiunti i pazienti con meno di 65 anni che necessitano di cure domiciliari per disabilità e perdita dell’autosufficienza permanente o temporanea). E’ però significativo che ben 6.893 di quei casi sono stati catalogati come ADP (Assistenza Domiciliare Programmata), la forma meno impegnativa dal punto di vista assistenziale, prevedendo il solo intervento del Medico di Medicina Generale (per intenderci il “medico curante” del paziente) con funzioni di controllo e monitoraggio della condizione clinica, prescrizione e attivazione di accertamenti specialistici.

L’Osservatorio rileva che le patologie più diffuse sono quelle da cui derivano più alti livelli di disabilità: artrite, ipertensione, diabete, con le frequenti complicanze correlate e che nel corso dell’anno 2005 l’accesso alle cure domiciliari è caratterizzato da condizioni che richiedono prevalentemente interventi assistenziali infermieristici e riabilitativi: la terminalità, le fratture negli anziani, gli incidenti vascolari costituiscono oltre il 50% della casistica.


Il censimento dell’ASR individuava le risorse impegnate sul territorio distinguendo il personale dipendente del SSN e quello proveniente da “esternalizzazioni”.

“Le figure professionali del SSN, a tempo indeterminato, che compongono il servizio erogante le prestazioni domiciliari sul territorio regionale risultano essere: l’infermiere professionale (104 operatori), altri medici specialisti (90), il medico di distretto (38 operatori), l’assistente sociale (25 operatori), la caposala (19 operatori) ed altre di minore presenza.


Le figure professionali a contratto, a tempo determinato, che erogano il servizio sul territorio regionale sono principalmente: l’infermiere professionale (19), altri medici specialisti (11) e il terapista della riabilitazione (6) ed altre.


Le figure professionali, che provengono da un servizio in appalto e erogano il servizio sul territorio regionale, sono in maggior misura: l’infermiere professionale (78 operatori), l’ assistente domiciliare (42 operatori) e il terapista della riabilitazione (26 operatori”.


Sono evidenti alcune debolezze.

Considerando quanto detto relativamente al bisogno di assistenza infermieristica che appare prevalente per la popolazione che dovrebbe essere assistita, le risorse disponibili appaiono evidentemente insufficienti a fornire qualità e quantità adeguata di assistenza.

I 78 infermieri impegnati attraverso appalti con società private, erano costituiti nella grandissima parte da neolaureati con scarsa o nessuna esperienza di lavoro, che solo transitoriamente ed in attesa di opportunità occupazionali più vantaggiose, accettavano di svolgere una attività che, anche in virtù di capitolati che poca attenzione pongono agli aspetti qualitativi e soprattutto si basano su gare svolte sul criterio del “minor costo”, sono molto poco gratificanti e vissuti come del tutto transitori.

Quanto al personale infermieristico dipendente del SSN, il documento dell’ASR chiarisce che in buona parte era condiviso con altre attività distrettuali per cui il calcolo relativo alle persone equivalenti, considerando cioè l’effettivo tempo impegnato in assistenza domiciliare, corrispondeva a circa il 50% effettivo del tempo di lavoro.

Quindi l’offerta assistenziale regionale, quanto a cure domiciliari consisteva, nel 2005, in 26 terapisti della riabilitazione e 130 infermieri effettivi su tutto il territorio regionale.

Dal 2005 ad oggi non sono stati fatti aggiornamenti regionali di questi dati, ma vista la contrazione generale di risorse umane a carico del SSN, non credo che queste risorse siano cresciute, piuttosto c’è da pensare al contrario. E’ però necessario incominciare a porsi seriamente il problema di come poter incrementare il numero degli operatori di assistenza e riabilitazione da investire sul territorio.

In questo senso sarebbe importante che i processi di riorganizzazione del sistema sanitario regionale ed il dibattito che dovrebbe realizzarsi intorno a tali processi, non dimentichi per l’ennesima volta di affrontare il problema della realizzazione di una valida rete di servizi assistenziali territoriali. Su questo terreno anche la “politica” potrebbe trovare la soluzione alla domanda del che fare delle risorse attualmente immobilizzate nei piccoli ospedali e nelle case di cura in crisi e, insieme, a realizzare qualche passo in avanti nella risposta a bisogni tutt’ora inevasi dei cittadini abruzzesi.

martedì 8 dicembre 2009

Tasse e tagli.

Non sono buone le notizie arrivate in questi ultimi giorni!


Tra Patto Stato-Regioni, Finanziaria e conti della sanità regionale, si annunciano, per noi cittadini, un ennesimo aggravio di tasse, di tagli e di disagi.

Il Patto Stato-Regioni per la salute del 3 dicembre, ha ribadito le penalizzazioni per le Regioni che presentino uno sbilancio economico che sul piano della tassazione qualcuno ha quantificato in un aggravio di IRAP ed IRPEF per i cittadini abruzzesi di circa 100 euro, ma che investirà anche i lavoratori della sanità in termini di contrazione del personale con la prevedibile conseguenza di una minore funzionalità e disponibilità dei servizi.

E non finisce qui. L’assessore Venturoni ci comunica che il disavanzo della sanità in regione persiste, malgrado il Piano di rientro e i tagli già effettuati.

Si fa riferimento ai problemi determinati dal terremoto che avrebbe, tra le altre cose, ridotto la mobilità in entrata di pazienti ed aumentata quella in uscita.

Sarà! Ma credo che i problemi siano altri.

A proposito di terremoto, fra l’altro si annuncia, se non interverranno cambiamenti, che gli aquilani torneranno presto a pagare tasse ed interessi per servizi inesistenti, per case distrutte, per attività produttive sospese al 6 aprile del terremoto.

Ma tornando alla sanità. Penso che a generare disavanzo ulteriore, sia stato ed è il modo in cui si è cercato di dare una cura al disavanzo. Sembrerà paradossale, ma…

Si sono avviati i tagli, e vero. Ma dove, ma come, di cosa?

Quando si avvia una razionalizzazione di servizi, di una produzione, in genere si opera una selezione finalizzata a ben delimitare cose da eliminare, ridurre, conservare, implementare.

E’ stato fatto?

A guardare non sembra.

Il sistema è rimasto sostanzialmente lo stesso di qualche anno fa, solo con qualche posto letto in meno e un bel po’ di personale (quello precario finito a zero euro e senza ammortizzatori e quello fuoriuscito e non ricoperto dai turnover) in meno nei servizi, con una notevole perdita, tra le altre cose, di professionalità alte.

Un sistema sostanzialmente ospedalocentrico, ma con difficoltà aumentate e qualità diminuita anche in quegli ambiti che esprimevano le performance migliori.

I servizi in grado di far fronte ai bisogni assistenziali legati alle condizioni di cronicità e di disabilità che costituiscono la domanda più rilevante e che più frequentemente determinano l’uso improprio dei servizi, soprattutto ospedalieri, non hanno avuto lo sviluppo necessario. Non a caso ai “tagli” di posti letto, ha corrisposto un aumento di pazienti parcheggiati nei corridoi dei reparti ospedalieri.

Ma soprattutto manca un controllo sulle attività che si basi su una verifica seria della loro appropriatezza, per cui le liste di attesa spesso sono determinate da tante prestazioni che potevano essere evitate.

In questa situazione quale attrattiva potrà avere il sistema Abruzzo per cittadini di altre regioni e come possono essere evitate le tentazioni alla fuga verso altre regioni degli abruzzesi?

Devo ammetterlo: è capitato anche a me di dare un “contributo”.

Ad un caro amico che, avendo bisogno di una TAC per un controllo in corso di terapie antiblastiche e che si vedeva prenotare l’esame a distanza di 4 mesi e fuori da tutti i tempi previsti dai protocolli terapeutici, ho vivamente consigliato di provare in un’altra regione. A Monza ha eseguito la sua TAC dopo quindici giorni!

A queste condizioni sarà dura uscire “dal fosso”, e allora…tasse e tagli, lacrime e sangue!

giovedì 3 dicembre 2009

Bisogni dei cittadini e sistema sanitario.

Appare banale, ciononostante non è scontato trovare un riscontro nella realtà: il sistema delle cure ha la sua ragione di esistere nella sua capacità di rispondere a bisogni reali correlati alla salute dei cittadini a cui si rivolge.

Sarà il caso allora di mettere insieme un po’ di dati che possano, se non definire in maniera perfetta i bisogni, aiutare a ragionare su di essi magari anche cercando di far proprie le esperienze di buone pratiche che in altre realtà sono state avviate. In questa pagina per esempio si segnala l'esperienza della ASL di Asti che ha effettuato una attenta monitorizzazione dei consumi sanitari in grado di definire bisogni, costi e risorse necessarie (vedi "buone pratiche").

Ad ogni modo uno dei determinanti principali della salute è l’età e la struttura demografica della popolazione fornisce sicuramente una indicazione importante nella lettura e nella previsione dei comportamenti di consumo sanitario. La popolazione ultrasessantacinquenne è quella che determina il maggior consumo di risorse sanitarie nel nostro Paese.

Secondo i dati forniti dall’ISTAT e relativi al 1° gennaio 2008, gli abruzzesi con 65 anni e più sono circa 282.000 abitanti, oltre il 21% della popolazione ed un indice di vecchiaia (il rapporto tra questa popolazione più anziana e i giovani fino a 14 anni) dei 161,84, secondo, nel meridione, solo al Molise.

L’associazione tra età e consumi sanitari è determinata ovviamente dall’evidenziarsi di problemi di salute, soprattutto relativi a condizioni di cronicità, ed all’insorgere conseguente di condizioni di disabilità.




Il tasso standardizzato consente di confrontare popolazioni aventi una struttura per età diversa. Il valore del tasso grezzo, infatti, dipende anche dalla struttura per età della popolazione, e non solo dal fenomeno in analisi. Per esempio, il tasso grezzo di disabilità (numero di persone disabili diviso popolazione) potrebbe essere più alto in alcune regioni a causa di una maggiore presenza di persone anziane. Il tasso standardizzato riconduce tutta la popolazione ad una stessa struttura per età, cosicché le differenze che si osservano fra le regioni non sono dovute al fattore età.

giovedì 26 novembre 2009

Montezuma e la politica abruzzese.

Oggi mi sfogo!
Mi scuseranno i visitatori di queste pagine che non saranno tantissimi, ma che comunque ci sono. E’ un bisogno profondo, di fronte alle nuove storiacce di cui ci arrivano notizie in questi giorni.


Mi sfogo sperando che i lamenti che sento dentro e che immagino sentano in molti dei cittadini di questa regione, possano finalmente trovare il modo di uscire, di diventare un “suono” pubblico ed insieme ai lamenti si incominci a prendere tutti insieme qualche decisione, a dire in maniera chiara di cosa abbiamo bisogno e come vogliamo che le cose si facciano.

Sembra ormai essere fatale, una relazione univoca, una sorta di maledizione di… Montezuma per cui la sanità, in questa regione, costituisce un fattore scatenante di comportamenti compulsivi questa volta rafforzato dalla “opportunità” offerta dalla tragedia del terremoto e dalle esigenze ed urgenze della ricostruzione.

E’ evidente che non ci è dato ancora certezza sulle accuse che cadono su politici, assessori, manager ed imprenditori di oggi, se esse abbiano fondamenti o siano solo un incubo perverso, ma è sempre più difficile riuscire a trovare gli spartiacque, se ve ne sono, con i politici, gli assessori, i manager e gli imprenditori di ieri e dell’altro ieri.

Mi viene da pensare che siano ormai tutti ammucchiati, una massa indistinta, un’ameba informe e inclusiva per cui appare ogni giorno più faticoso riuscire a capire dove sia l’inizio e la fine di ciascuno scandalo. Forse perché nessuno ancora, anche di quelle vicende più vecchie, ci ha fornito un inizio né fatto intravvedere una fine; né tantomeno ci ha chiarito quale sia, se ve n’è uno, il peccato all’origine di questa insopprimibile compulsione all’illecito.

Intanto la sanità, in Abruzzo, fa acqua da tutte le parti: innanzitutto rispetto alla capacità di rispondere ai bisogni delle persone, le più fragili in primo luogo (ed i ticket introdotti per la riabilitazione ne sono un fulgido esempio); poi per la povertà qualitativa e la precarietà dell’offerta di servizi che coincide perfettamente all'approssimazione organizzativa e gestionale; infine per l’immagine opaca, ma sarebbe meglio dire tetra, che diffonde anche per l'incuria che si evidenzia in ogni cosa, per i muri scrostati dei servizi e degli ospedali, per gli ascensori malfunzionanti, per i particolari anche più elementari che rinviano sempre ad una triste idea di abbandono.

Intanto il dramma della ricostruzione post-terremoto è quanto mai aperto e la speranza e la necessità di garantire che le strutture sanitarie tornino a funzionare in quella terra (come era già stato segnalato in questo blog) sembra essersi “concretizzata”, secondo quanto comunica la magistratura, in disegni illeciti e nel pericolo determinato da infiltrazioni mafiose nelle imprese coinvolte.

Intanto, infine, ci troviamo di fronte per la terza volta, di seguito e dopo meno di un anno dal voto, ad una legislatura regionale macchiata quantomeno dal sospetto della corruzione.

Quale credibilità rimane ancora?

Dovremmo riflettere, noi cittadini, che ormai da troppo tempo abbiamo rinunciato ad esigere che la politica e l’amministrazione della cosa pubblica risponda davvero al meglio ai nostri bisogni. Dovremmo riflettere a fondo sul perché abbiamo optato per la delega cieca rinunciando a ciò che è nostro solo per poter chiedere e, talvolta avere, un favore.

Dovremmo riflettere su una classe politica e dirigenziale regionale che è ferma, priva di rinnovamento. Gli stessi nomi lì, sulla breccia, per anni, passando da una legislazione all’altra, da una amministrazione all’altra, da uno scandalo all’altro.

E, d’altronde, di tutto questo, purtroppo, non possiamo non assumerci le dovute responsabilità:

quei politici, con il conseguente strumentario umano di amministratori, funzionari, affaristi, sono il prodotto combinato delle scelte e delle non scelte che quotidianamente facciamo e che comunque hanno, ci piaccia o no, ricadute politiche e sulla vita di tutti;

lo scempio, il saccheggio della sanità, delle sue risorse finanziarie e professionali fatto in decenni a danno di tutti i cittadini per favorire i soliti pochi interessati, è avvenuto sotto gli occhi di tutti, ma, nell’ipotesi più benigna, nella distrazione generale.

E, infine, dovremmo riflettere anche noi operatori della sanità: viviamo alla giornata nell’immobilismo e nella paura di doverci sperimentare in un cambiamento e, di giorno in giorno, anche noi siamo finiti con l’essere incredibili!

giovedì 19 novembre 2009

E se Villa Pini fosse l’occasione? (2)

Riprendiamo a ragionare sulla possibile occasione “offerta” dalla crisi del Gruppo Villa Pini.


Tralascio qui di riferirmi alle notizie di attualità, che sono su tutti i giornali e che comunque dicono che la vicenda non è risolta e tutti i nodi sono ancora lì, stretti ed ingarbugliati: da una parte la nuova legge regionale sull’accreditamento approvata 2 giorni fa non mette alcuna chiarezza e rinvia ulteriormente una soluzione, dall’altra, nessuno, istituzioni, politici e sindacati, ma non sembra, purtroppo, neppure tra i lavoratori (o almeno non se ne trova notizia), avvia uno sforzo che partendo da elementi concreti, vada a cercare soluzioni nuove.

Vado avanti così, non mi si voglia, con la mia provocazione, ovviamente a fin di bene e senza la pretesa di avere, soluzioni finali!

Continuo, cioè, a fantasticare, a fare qualche ipotesi cercando di immettere qualche dato e qualche riflessione senza alcuna pretesa: è solo fantasia e nient’altro, chissà poi che la fantasia non possa tornare utile.

Un primo dato.

Lo si ricava dalla relazione annuale del Ministero della Salute sull’attività di ricovero per l’anno 2008: il tasso di ospedalizzazione nella Regione Abruzzo, benché sceso ulteriormente nel corso dell’anno, resta ancora di oltre 10 punti al di sopra della media nazionale e, in particolare per il regime di ricovero ordinario, fanno peggio solo Molise e Puglia.

Nel 2006, sempre secondo i dati del Ministero della Salute, a livello nazionale vi era una disponibilità, tra strutture pubbliche e strutture private, di 4,5 posti letto per mille abitanti ed in particolare quelli destinati all’attività per acuti erano il 3,9 per mille. L’Abruzzo però nello stesso anno, secondo gli stessi dati disponeva di circa 5,2 posti letto per mille abitanti di cui ben 4,5 solo per acuti (superato solo da Sardegna e Molise).

Sempre da quei dati, senza pretendere qui di fare analisi particolarmente approfondite, si possono ricavare alcune altre informazioni: a fronte di un tasso di ospedalizzazione e di un rapporto maggiore posti letto/abitanti rispetto alla quasi totalità delle altre regioni italiane e del dato nazionale, il numero degli infermieri che operano nelle strutture di ricovero, 4,46 per mille abitanti, è sostanzialmente in linea o appena superiore al dato nazionale (4,04), stando ad indicare una scarsità di risorse disponibile per garantire gli stessi livelli assistenziali.

Il rapporto medici ospedalieri/abitanti è di 1,73 per mille e, considerando il confronto con il dato nazionale e delle altre regioni, sembra avere connotazione diversa dal dato relativo al personale infermieristico. I medici infatti sono anch’essi proporzionalmente al di sopra del dato nazionale, che è dell’1,63 per mille, ma se si osservano regioni meglio organizzate e più virtuose si trova che vi è un rapporto più armonico con il rapporto posti letto/abitanti.

Mi fermo qui.

Sono ovviamente solo alcuni dati e “suggestioni” su cui riflettere, ma, è ovvio, molte sono ancora le domande e le informazioni da mettere insieme.

Per esempio: cosa c’è in termini di risorse sul territorio, fuori dagli ospedali? E…basta quel che c’è?

(continua…)

Di seguito ci sono i link con le pagine del Ministero della Salute per meglio approfondire i dati
http://www.ministerosalute.it/ricoveriOspedalieri/archivioDocumentiRicoveriOspedalieri.jsp?lingua=italiano&id=1117
http://www.ministerosalute.it/servizio/sezSis.jsp?id=87&label=dsf

domenica 15 novembre 2009

L’evento sentinella.

Si definisce “sentinella” un evento avverso di particolare gravità, potenzialmente evitabile, che può comportare, quando ci si riferisce agli ambiti sanitari, morte o grave danno al paziente e che determina una perdita di fiducia dei cittadini nei confronti di chi ha contribuito a generarli.

Il verificarsi di un solo caso dovrebbe essere sufficiente a dar luogo ad approfondimenti e indagini diretti ad accertare se vi abbiano contribuito fattori eliminabili o riducibili e per attuare le adeguate misure correttive da parte di un’organizzazione.

Tali eventi sono così denominati e non si sarebbe potuto fare meglio, perché per l’appunto sono sentinelle e, per questo, guardano ed ascoltano e forniscono informazione su ciò che appare all’orizzonte. Permettono di rilevare elementi capaci di connotare le azioni correlate a quegli eventi e leggere il significato delle cose. Per questo hanno in se un forte potere analitico ed esplicativo.

Nella AUSL di Pescara da qualche anno esiste un Centro di Terapia del Dolore fino a qualche giorno fa, collocato al piano terra del monoblocco ospedaliero, in prossimità del Blocco Operatorio, facilmente accessibile sia per i pazienti esterni che per quelli interni.

Ora non più!

Il Centro, da qualche giorno, è stato trasferito nelle strutture del vecchio ospedale, nella palazzina che, se un giorno saranno disponibili infermieri ed OSS, dovrebbe ospitare l’Hospice.

E’ un luogo accessibile per i pazienti esterni, ma lontano dal parcheggio che si trova sul lato opposto del complesso ospedaliero.

E’ un luogo raggiungibile solo con un percorso di guerra, per i pazienti interni che dovessero aver bisogno della struttura (per lo più pazienti oncologici e comunque afflitti da serie patologie dolorose).

La nuova localizzazione comporta infatti l’attraversamento di piazzali esterni, il passaggio attraverso sotterranei fatiscenti e, dappertutto, pavimentazioni sconnesse che ad un corpo dolorante sapranno far ben comprendere fin dove si possa soffrire.

Non solo.

L’attuale disponibilità di personale ospedaliero, soprattutto di quello che dovrebbe svolgere il trasporto in barella o carrozzina dei pazienti dalle unità operative ospedaliere al Centro antalgico è molto vicino a zero, per cui sarà molto difficile anche solo avviarsi nel suddetto percorso di guerra.

D’altra parte anche la disponibilità (intesa come buona volontà) degli infermieri, che non dovrebbero essere utilizzati per questo tipo di attività, è messa a dura prova data la scarsa disponibilità (intesa come scarsità di numero) di queste figure che quasi sempre sarebbero costrette, nel caso effettuassero l’accompagnamento dei pazienti, a lasciare a se stessi intere corsie.

La scelta del trasferimento del Centro di Terapia del Dolore, da chiunque sia stata effettuata, costituisce un tipico di evento sentinella: mostra come nella AUSL di Pescara si realizzino interventi privi di logica e dannosi per i pazienti, che sono (è riduttivo dire “dovrebbero”!) il primo motivo di esistenza di un servizio sanitario, e per la stessa organizzazione che tutta intera si troverà a soffrire delle nuove condizioni create.

E’ la messa in evidenza di una visione organizzativa parcellizzata ed autoreferenziale che non tiene conto di nessun bisogno e di nessun progetto.

Ma…si può?